giovedì 15 settembre 2011

Euro da paura o Stark War

Pubblichiamo un nostro articolo che compare in copertina di LEFT (ex Avvenimenti) in edicola venerdì 16. Il tema, come al solito, sono le ultime vicende europee, in particolare le dimissioni del membro tedesco del comitato esecutivo della BCE. Per ragioni editoriali non ha trovato posto questa bella citazione da un libro in cui Carlo Levi racconta della sua prima visita in Germania.

Partiamo, poco dopo mezzogiorno, per la bella Germania delle nere foreste, delle città antiche, per la ricca Germania dell’industria e del lavoro…La circolazione è così ben regolata, ed è così poco pensabile che si possa far qualche cosa contro la regola, che gli incidenti sono così numerosi. Ne osserviamo uno uscendo di città, lento e assurdo come nei sogni. Un camion svolta a passo d’uomo, traversando le rotaie che sono in mezzo alla strada, un tram si avvicina, così adagio che è quasi fermo, un’automobile procede ad andatura moderatissima nella opposta direzione. Li vediamo avvicinarsi l’uno all’altro, e non so quale dei tre sia in qualche modo in errore: tutti e tre potrebbero facilmente fermarsi. Invece tutti e tre procedono verso l’inevitabile urto, per una ostinata fiducia nella legge: una fiducia maggiore della fantasia.
Carlo Levi, La doppia notte dei tigli, Einaudi 1959, p. 52.

Euro da paura o Stark War
Sergio Cesaratto
Lo scorso fine settimana c’è stata la decisione del membro tedesco dell’esecutivo della BCE, Juergen Stark, di dimettersi in dissenso con le scelte della banca. Molti l’han letta come un punto di svolta. Tali dimissioni seguono quelle di Axel Weber lo scorso febbraio, il tedesco in lizza per succedere a Trichet. La ragione del contendere allora come ora è se la BCE deve intervenire o meno a sostegno dei titoli pubblici dei paesi periferici. Le dimissioni di Stark sono state precedute dalle critiche all’intervento che la BCE ha svolto in queste settimane a sostegno dei titoli italiani e spagnoli da parte del ministro delle finanze Schauble e del Presidente tedesco Wulff. Il leader della SPD è intervenuto a favore di Wulff. I tedeschi fanno dunque quadrato attorno alle più retrive proposte economiche possibili: il mio personale sentimento è stato di paura per ciò che potrà accadere le prossime settimane - seguito dal fatalismo, il mondo non finirà per questo e neppure noi, ma potremmo andare incontro a spiacevoli esperienze.
I tedeschi sono accecati dal combinato disposto di una loro atavica incapacità di adattare le regole, a cui tengono moltissimo e per cui li ammiriamo, alle situazioni che, tuttavia, possono richiedere il mutamento delle medesime. Queste regole vengono poi spesso ammantate di una valenza morale. In queste circostanze convincere un tedesco è come ragionare con Sara Paullin o un membro del Tea party. Se a questo si aggiunge il timore che il mutamento richiesto intacchi il modello economico che a quel paese ha portato pace e prosperità nel secondo dopoguerra, beh, mission impossible. Provatevi a far capire a un tedesco – non a un tedesco della strada, ma a un tedesco dell’elite inclusa quella progressista – che quel modello è da sempre un problema per le altre economie e che, comunque, è incompatibile con un’unione monetaria. In un paese in cui Schuld significa sia debito che peccato perdete il vostro tempo. Il commissario europeo all’energia, il tedesco Oettinger, ha proposto di esporre a mezz’asta fuori degli edifici europei le bandiere dei paesi indebitati. Wolfgang Munchau, un commentatore tedesco raziocinante - ve ne sono, ma inascoltati dai politici -, gli ha dato del matto patentato, e il fatto che Stark si sia incredibilmente dimesso a mercati aperti, causandone il crollo, dimostra come l’ottusità domini l’elite tedesca (nel sito di Neil Roubini anche Stark è stato definito matto). Nessuno ha avanzato il sospetto che Stark possa averne approfittato per un po’ di insider trading. Come la moglie di Cesare un tedesco è al di sopra di questi sospetti.
Sono i surplus che creano debiti
Ma perché mai, qualche lettore si chiederà, dobbiamo obbligare i tedeschi a cambiar modello, e come possiamo permetterci di pretendere che lo facciano: se loro son più bravi cerchiamo invece di imitarli! Che, in particolare noi italiani, si abbia da imparare dai tedeschi è fuor dubbio: il rispetto delle regole, se non ossessivo, è una virtù civile. La questione è che il modello economico tedesco non deve il suo successo solo alle virtù di quel popolo (regole, precisione ecc.), ma alla sistematica compressione dei salari e dei consumi interni. In tal modo quel paese ha realizzato nel secondo dopoguerra enormi surplus commerciali (che coincidono coi profitti dei capitalisti tedeschi) che la Germania ha con successo potuto collocare all’estero. I capitalisti tedeschi producono 1000, pagano salari per 600, devono collocare 400: un po’ consumano loro, ma il resto lo devono vendere all’estero. Questo è stato possibile perché nel dopoguerra gli altri grandi paesi occidentali hanno in genere condotto politiche di espansione della propria domanda interna -con l’Italia ha un po’ agito da Germania di serie B – sostenendo le esportazioni tedesche. La prevalenza di sistemi di cambi fissi – a parte gli anni 1970 – ha fatto inoltre in modo che i surplus commerciali tedeschi non si traducessero nella rivalutazione del marco, il quale avrebbe ridotto la competitività tedesca. Un opportunismo esemplare (denominato “mercantilismo monetario” dall’ importante storico tedesco Carl-Ludwig Holtfrerich). Negli anni più recenti, le riforme del mercato del lavoro di Schroeder prima e l’Unione Monetaria Europea dopo hanno consentito alla Germania di riaffermare questo modello. Inoltre le banche tedesche hanno allegramente finanziato i paesi dell’Europa periferica e dunque, da ultimo, le esportazioni tedesche verso quei paesi. Sono i surplus a creare i debiti, come ha ben sintetizzato l’economista Leon Podkaminer conterraneo e seguace del grande economista polacco Michal Kalecki, il Keynes marxista. I sindacati tedeschi sono stati storicamente partecipi del modello guidato dalle esportazioni: quando parliamo di salari bassi in Germania lo facciamo in senso relativo – i loro salari sono pur sempre superiori di quelli del sud-Europa data la forte produttività tedesca (diciamo: un lavoratore tedesco produce 100 e ottiene 60; quello spagnolo produce 60 e ottiene 40; relativamente al proprio prodotto lo spagnolo ne ottiene una quota maggiore, ma in assoluto sta peggio). Eppure anche i lavoratori tedeschi, come le formiche, a volte hanno minacciato di incazzarsi rivendicando una fetta più ampia della torta. Ma per questo c’era la Buba, la Bundesbank, a intervenire minacciandoli che se avessero chiesto troppo, intralciando la macchina delle esportazioni, essa avrebbe stretto il credito creando disoccupazione. La BCE ha ereditato questo ruolo: basta guardare agli sciagurati aumenti del tasso d’interesse la scorsa primavera volti solo a minacciare i sindacati tedeschi.
SuperMario?
La rottura dell’Eurozona sarebbe un disastro per l’Europa e per l’economia globale. Non dobbiamo ne possiamo augurarcela. L’agenda di politica economica che i tedeschi vorrebbero somministrarci, fatta di punizione e contrizione, porta direttamente a quel risultato. Infatti i pacchetti di austerità portano a recessione, e la recessione a minori entrate fiscali in una fatica di Sisifo che non ha fine, basti guardare la Grecia mentre qui da noi già si parla di un’altra manovra.
 Inoltre i tagli ai bilanci pubblici significano meno risorse all’istruzione, agli investimenti pubblici, alla mera sopravvivenza del tessuto civile. Significa in altre parole disgregazione sociale. Significa che la gente si ribellerà, con la violenza sociale, con la delinquenza, togliendosi la vita: ognuno troverà la propria strada. E allora, questa strada è irresponsabile:perché Napolitano non dice questo? Eppure, se solo i tedeschi avessero la flessibilità mentale di un anglosassone, v’è una soluzione, meramente volte a salvare il capitalismo, davanti agli occhi di tutti: una garanzia illimitata della BCE ai debiti dei paesi periferici che avrebbe l’effetto di tranquillizzare drasticamente i mercati (la BCE ha potere illimitato di acquistare titoli in quanto stampa moneta: nessuno sarebbe preoccupato di detenere un titolo italiano o spagnolo sapendo che la BCE  se lo comprerebbe se egli non lo volesse più). E qui torniamo alle dimissioni del dott.Stark. Obtorto collo, tedeschi hanno accettato nelle scorse settimane un intervento della BCE timido e tardivo. Scrivemmo in tempo reale sul nostro blog che tale intervento, da un lato, non avrebbe abbassato i famosi spread a livelli accettabili e, dall’altro, appena la BCE avesse acquistato qualche decina di miliardi di titoli qualche politico tedesco avrebbe cominciato a starnazzare. Ciò è accaduto puntualmente. Si noti che se la BCE avesse risolutamente dichiarato di voler sostenere illimitatamente i debiti pubblici, essa non avrebbe dovuto acquistare un bel nulla. Se voi andate a fare shopping a via Frattina e Berlusconi ha telefonato garantendo per voi, tutti vi faranno credito; se invece vi regala 100€ senza poter far il suo nome, difficilmente vi faranno credito. Non ci sentiamo isolati nel dire queste cose. Fior di “autorevoli” economisti ora le sostengono (fra gli altri Tabellini, Gros, De Grouwe, Benigno, Wyplosz), ma nessuno tedesco, ahinoi, presi come sono dal loro moralismo luterano. Draghi è un banchiere conservatore, ma anche Bernake lo è, e i bravi banchieri centrali sanno quello che si deve fare in determinate circostanze, ripetiamo, al mero scopo di salvare il capitalismo. Sarà tuttavia difficile che i tedeschi glielo lascino fare, ammesso che egli voglia farlo. Se vorrà farlo, dovrà affrontare una battaglia a viso aperto magari col sostegno dei banchieri centrali degli altri paesi del G20. Intanto Stark è stato sostituito con un’altra grigia figura, pupillo di Axel Weber peraltro.
Il difficile è riequilibrare la competitività dei paesi europei. Qui il passaggio per i tedeschi è ancor più radicale: rilanciare il loro mercato interno accrescendo i salari e diminuendo la diffusa povertà (sempre da intendersi in termini relativi) di quel paese. La SPD batta un colpo, o è la medesima di Schroeder? Noi del sud dobbiamo anche fare i nostro compiti, reperendo risorse dall’evasione, dai grandi patrimoni, dagli sprechi inclusi quelli della politica per sostenere istruzione, giustizia sociale, ricerca e politica industriale, rifiutando frettolose privatizzazioni. Ovvio che cacciare Berlusconi è il primo passo per essere credibili.
La sinistra e il suo popolo devono però superare una sorta di senso di colpa per cui, in fondo, siamo stati noi causa dei nostri guai ed è giusto che paghiamo. Come nella vita, i sensi di colpa non aiutano. A parte che non è certo stato un eccesso di spesa sociale ad aver creato il debito pubblico italiano - l’evasione fiscale e scelte di molti anni fa, “divorzio fra Tesoro e Banca d’Italia e adesione al Sistema Monetario Europeo, ne sono stati la causa -, è semplicemente sbagliato pensare che i nostri sacrifici, e quelli del resto della periferia, portino a qualche risultato che non sia il crollo delle economie dell’insieme dell’Europa, incluso il virtuoso nord. La manovra italiana non è solo ingiusta, ma è soprattutto inutile (la beffa oltre al danno). Solo un intervento risoluto della BCE, nell’ambito di una strategia europea volta alla crescita, basata in primis sull’espansione fiscale e salariale nei paesi del nord, può rendere sostenibili i debiti. Il tentativo di “aggiustamento” dei conti via tagli di bilancio nazionali porta invece direttamente al baratro. Il Presidente Napolitano e il PD questo paiono tuttavia non capirlo.

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